Tempo di agire: l’Italia deve ristrutturare il suo debito adesso

di Nouriel Roubini
30 novembre 11

 

E’ sempre più chiaro che il debito pubblico dell’Italia è insostenibile e necessita di una ristrutturazione ordinata al fine di evitare un default disordinato. La volontà dell’eurozona di non coinvolgere il settore privato nella previsione del nuovo ESM è testarda e difetta di ogni credibilità.

Con un debito pubblico al 120% del PIL, tassi d’interesse reali vicino al 5% e crescita zero, l’Italia necessiterebbe di un surplus primario del 5% sul PIL semplicemente per stabilizzare il debito. Presto i tassi d’interessi reali saranno più alti e la crescita negativa. Inoltre, l’austerity che la BCE e la Germania stanno imponendo all’Italia trasformerà la recessione in depressione.

Il governo tecnocratico guidato da Mario Monti è più credibile del precedente governo Berlusconi, ma i vincoli che deve affrontare sono gli stessi: il debito è insostenibile e la politica per ridurlo finirà per peggiorare la situazione. Questo è il motivo per cui i mercati hanno dato poco rilievo alle notizie del nuovo governo e hanno spinto gli spread a livelli ancor più insostenibili. Il nuovo governo è nato ferito e indebolito dalla prospettiva che Berlusconi possa togliere la spina in qualunque istante.

Anche se l’austerity e le riforme fossero messe in atto per ristabilire la sostenibilità del debito, l’Italia, così come i paesi che si trovano nelle stesse condizioni, necessiterebbero di un prestatore di ultima istanza in grado di sostenerli e prevenire che gli spread sui titoli sovrani esplodano nel momento in cui viene riguadagnata la credibilità sui mercati. Ma i finanziamenti necessari all’Italia nei prossimi 12 mesi non si limitano ai 400 miliardi delle scadenze dei titoli. A questo punto, infatti, la maggior parte degli investitori smaltirebbero le loro posizioni sul debito italiano a chiunque fosse disposto a comprare ai rendimenti correnti –sia essa la BCE, il EFSF, il FMI o chiunque altro-. Se venisse fuori un prestatore di ultima istanza, allora l’intero stock di debito di 1900 miliardi dell’Italia sarebbe immediatamente offerto.

Usare le preziose risorse ufficiali per prevenire l’inevitabile semplicemente finirebbe col finanziare l’uscita di tutti gli altri. E queste risorse ufficiali non ci sono. Circa 2000 miliardi sarebbero necessari per mettere in sicurezza l’Italia, la Spagna e possibilmente il Belgio per i prossimi tre anni.

Persino i tentativi di espandere il EFSF attraverso il FMI (che secondo fonti si sta preparando ad un programma di 400-600 miliardi per mettere in sicurezza l’Italia nei prossimi 12-18 mesi), e i Brics e i vari fondi sovrani sono destinati a fallire se il centro dell’Eurozona non si decidesse ad innalzare il suo contributo e se la BCE non si decidesse a giocare il ruolo di prestatore di ultima istanza.

Se l’Italia restasse intrappolata in una recessione non competitiva e fosse incapace di riguadagnarsi l’accesso ai mercati allora, anche se una quantità ingente di risorse ufficiali fosse mobilitata, questa finirebbe per essere sprecata nel finanziare le fuoriuscite dei vari investitori –rimandando semplicemente una ristrutturazione del debito inevitabile e disordinata-.

Il debito pubblico dell’Italia ha bisogno di essere ridotto, alla peggio, dal 120% del PIL al 90% del PIL. Ciò potrebbe essere ottenuto offrendo agli investitori di scambiare i loro titoli o con obbligazioni alla pari –con una scadenza più lunga e una cedola sufficientemente bassa da ridurre il valore attuale netto del 25%- oppure con obbligazioni scontate con un taglio del valore nominale del 25%. Le obbligazioni alla pari si adatterebbero alle banche che possiedono titoli alla scadenza e che non agiscono nel mark-to-market. Dovrebbe esserci un commitment credibile per non pagare quegli investitori che resistono di fronte alla possibilità di partecipare alle offerte.

Stime influenti in Italia hanno suggerito che una imposta patrimoniale possa raggiungere lo stesso effetto nella riduzione del debito pubblico. Tuttavia una ristrutturazione del debito ha un impatto superiore. Per ridurre il rapporto del debito al 90% del PIL, una imposta patrimoniale ammonterebbe a circa 450 miliardi, ovvero il 30% del PIL. Persino se il pagamento di questa imposta sul capitale fosse spalmata su un decennio comunque implicherebbe un incremento della pressione fiscale del 3% del PIL per i prossimi dieci anni; la caduta risultante nel reddito disponibile e nel consumo porterebbe l’Italia dalla recessione alla depressione.

Una ristrutturazione del debito è preferibile ad un Piano A che fallirebbe e che condurrebbe ad una ristrutturazione del debito più ampia e disordinata. Persino una ristrutturazione del debito non risolverebbe i problemi dell’assenza di crescita, della perdita di competitività, dell’ampio deficit delle partite correnti. Risolvere questo richiederebbe un deprezzamento reale che potrebbe esigere l’eventuale uscita dell’Italia dall’euro. Un’uscita che può essere rimandata per un po’. La ristrutturazione, invece, deve essere implementata adesso. L’alternativa è molto peggiore.

(tratto dal Financial Times 30-NOV-2011)