Perché i Media Occidentali stanno dando un’idea sbagliata dell’Egitto

di International Tahrir
04 luglio 13
La copertura mediatica occidentale delle massicce ondate di proteste che hanno avuto luogo negli ultimi due giorni in Egitto rivela una serie di problemi che affliggono la produzione di notizie sul mondo arabo.

Intorno a mezzogiorno dello scorso 30 giugno, mentre le masse in tutto il paese erano ancora in fase di riscaldamento in vista di queste memorabili proteste, le notizie dal Cairo che sono apparse nelle trasmissioni occidentali e nei siti di notizie on-line si sono incentrati sulla proiezione di un'immagine di "polarizzazione". Le manifestazioni di opposizione ai Fratelli Musulmani sono state presentate come bilanciate, e in alcuni casi addirittura in inferiorità numerica, rispetto alla manifestazione in favore del presidente Mohamed Morsi. La probabilità di scontri violenti è stata accuratamente integrata all'interno delle notizie e presentata come una delle caratteristiche principali dell'attuale situazione politica in Egitto.

Col passare del giorno, le manifestazioni anti-Morsi del 30 giugno si sono rivelate essere, probabilmente, le più grandi mai registrate nella storia egiziana, con persone di tutte le estrazioni sociali che hanno manifestato insieme serenamente, ma con audacia, denunciando il governo della Fratellanza. In tempo per il ciclo di notizie della sera, in Europa, e dei telegiornali del mattino, negli Stati Uniti, i redattori di testate giornalistiche occidentali a stampa e online hanno iniziato a inviare il loro primo messaggio di "polarizzazione", e hanno cominciato a riconoscere la vera misura dei dissidenti, contabili in milioni; misura senza precedenti.

La ribellione al governo della Fratellanza portata avanti dal popolo egiziano è una seria sfida popolare per il, forse, più significativo riordino strategico della regione dall'accordo Sykes-Picot del 1916. Eppure, c'è stato un chiaro conservatorismo quando si è tratto di mostrare la minaccia rappresentata da tale dimostrazione di forza per la legittimità di Morsi. Le manifestazioni del 30 giugno sono state descritte semplicemente come segno di malcontento sociale che avrebbero portato ben poche conseguenze sulla coalizione di governo, sostenuta da Washington, tra i militari e la Fratellanza. In altre parole, i media hanno inviato il messaggio al pubblico occidentale che, mentre queste memorabili proteste potevano sembrare nobili ed imponenti, gli unici veri attori politici in Egitto (e probabilmente nel mondo arabo nel suo complesso) sono i generali militari e gli islamisti.

Questo paradigma, imposto attraverso resoconti giornalistici, è stato sostenuto dai cosiddetti "esperti" del Medio Oriente. Questi esperti plasmano le percezioni occidentali del Medio Oriente dalla comodità dei loro notevoli finanziamenti e, nei momenti di difficoltà, come nel caso del 30 giugno, si inseriscono negli studi dei notiziari di Londra e di Washington da dove trasmettono le loro rappresentazioni del Medio Oriente.

Mentre a mezzogiorno di Lunedi l'esercito egiziano si è fatto avanti in questo gioco, dando scacco matto a Morsi e inviando un ultimatum di quarantotto ore per rispondere alle richieste del popolo, questo stesso circuito mediatico di cui abbiamo parlato ha dato vita al tentativo di portare il discorso del "colpo di Stato" alla ribalta della discussione sugli eventi in Egitto, a volte con forza.

Il fallimento dei media occidentali e degli esperti a riconoscere e a mostrare le sfumature del conflitto in corso in Egitto a causa della negligenza di alcune persone nella definizione dei risultati politici è sia patetico che vergognoso. E 'patetico perché indica la misura in cui i circoli intellettuali occidentali rimangono volontariamente intrappolati in una visione Orientalista della regione datata non aggiornata.

È al tempo stesso sia ironico che triste che mentre gli analisti mediocri, ed è dir poco vista la loro comprensione del cambiamento in Medio Oriente, fanno frequenti apparizioni in in onda in interviste di due minuti durante i telegiornali, le voci di altri studiosi ed esperti ,con seri ambiti di ricerca e una vera competenza della regione rimangono in gran parte inascoltate. Analisti seri non sono richiesti, non solo perché hanno da lungo tempo superato questo paradigma nell'analizzare la politica del cambiamento in Medio Oriente, ma anche perché non hanno il talento di dare quelle risposte superficiali e brevi, alle domande studiate dei conduttori.
Il tentativo di contenere le notizie riguardanti le politiche del cambiamento in Medio Oriente negli ultimi due anni e mezzo in generale, e gli avvenimenti delle ultime ore in Egitto in particolare, all'interno dell’approntato paradigma delle dispute territoriali tra militari e islamisti, è altrettanto vergognoso.

L'insistenza ad ignorare la possibilità che ci siano altri fattori in gioco, francamente, nasconde una paura profondamente radicata delle potenze occidentali, in particolare degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, per la comparsa di una reale alternativa democratica nel più grande dei paesi del mondo arabo. Tale alternativa rappresenterebbe certamente una sfida per l’egemonia statunitense nella regione, fosse anche solo per cominciare ad affrontare diverse possibilità per quanto riguarda il futuro dell'Egitto, della sua gente e la sua situazione regionale.

Gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e molte altre controparti hanno pesantemente investito nella legittimazione di un governo islamista addomesticato - guidato, ovviamente, dai Fratelli Musulmani- che prendesse in consegna il Medio Oriente dai regimi populisti post-coloniali che avevano da lungo tempo passato le loro date di scadenza. Ambasciatori americani e britannici nella regione hanno tessuto attentamente tale visione, comunicando in patria che questa rappresentava semplicemente la migliore formula per la tutela dei loro interessi nella regione.
Che tale formula si presterebbe al prolungamento di un altro ciclo di feroci violazioni dei diritti umani e di continue ingiustizie economiche è, naturalmente, di scarso interesse per loro.

Il principale colpo di scena che a cui il popolo egiziano in rivolta ha dato vita negli ultimi due giorni interrompe molti piani, più in particolare la road map occidentale della regione. La ribellione al governo della Fratellanza da parte del popolo egiziano è una seria sfida popolare per il, forse, più significativo riordino strategico della regione dall'accordo Sykes-Picot del 1916. Proprio per questo il pubblico occidentale non è autorizzato a simpatizzare con le manifestazioni in Egitto che chiedono la cacciata di Morsi, come ha invece fatto con le proteste contro l'ex presidente Hosni Mubarak nel gennaio 2011. In mezzo a questo grave travisamento della rivoluzione egiziana, la credibilità e la reale indipendenza dei principali media occidentali è seriamente messa in discussione.

Traduzione di Luana Andronico

Articolo Originale

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